domenica 15 aprile 2018

Previsioni sulla situazione internazionale


Negli scorsi anni, in un paio di snodi fondamentali dei fatti internazionali (gli attacchi terroristici a Charlie Hebdo a Parigi e l'elezione di Donald Trump), mi è capitato di scrivere degli articoli in cui, oltre alle analisi, mi lanciavo in previsioni su quella che sarebbe stata la situazione internazionale in divenire. Esercizio utile per verificare se le categorie analitiche che si utilizzano sono valide per interpretare la realtà.
Rileggendo quegli articoli ora, a tre anni e un anno e mezzo di distanza, appaiono in buona parte esatti. Vi sono contenuti ovviamente errori ed approssimazioni, le scansioni temporali sono sbagliate, tuttavia nel merito colgono i nessi fondamentali. 

Circa quanto scrivevo nel primo articolo, oggi si può rilevare, sulla Libia, come il generale Haftar abbia condotto una politica dei due forni, mantenendo buone relazioni anche con la Russia, senza indispettire troppo l'Occidente. La parte più filo-occidentale appare quella tripolitana rappresentata da Al-Serraj. Ora Haftar sarebbe gravemente malato (attenzione ai segnali: ricoverato in un ospedale di Parigi). La situazione libica è ancora molto incerta ma il controllo delle potenze occidentali non pare in pericolo.
Sulla Siria, quello che definivo “congelamento” sembra essersi ormai consolidato in una sorta di spartizione delle zone d'influenza. La piena sovranità nazionale siriana non sembra ripristinabile. 

Anche sul secondo articolo si possono svolgere alcune considerazioni, col senno di poi: la distensione con la Russia in realtà non è avvenuta. La tensione diplomatica rimane altissima anche perché la fronda interna agli Stati Uniti che preme per normalizzare Trump (ovvero prosciugargli ogni possibile tentazione di autonomia dal deep state) spinge ancora molto sui rapporti con la Russia impedendo al presidente americano qualunque forma di distensione che sarebbe subito tacciata di intelligenza col nemico. Ma non è escluso che, se la situazione interna americana si normalizzasse, tale distensione potrebbe avviarsi.
Per quanto riguarda il Medio Oriente, l'attacco allo sciismo politico sembra essere appena all'inizio. Nei prossimi due anni una guerra di grosse dimensioni che ingaggi sempre più l'Iran, per procura o stavolta direttamente, appare sempre più probabile. Su un altro scacchiere, la tensione sul Venezuela non sembra destinata ad ammorbidirsi. Anche qui, il rischio di una guerra è sempre incombente.

Ripropongo dunque i punti salienti delle previsioni (in coda i link per chi volesse rileggerli integralmente anche nella parte di analisi).

 
Dall'articolo: “Destabilizzare per stabilizzare. Vale anche per gli attacchi di Parigi?” (gennaio 2015): 


"Cosa dobbiamo aspettarci nel prossimo futuro, in uno scenario di sei mesi, un anno? Nessuna sfera di cristallo. Facciamo ipotesi che potranno essere falsificate dagli eventi, che naturalmente non si evolvono per forza in modo lineare.
1. I canali di sostegno al jihadismo, in particolare i miliardi delle petromonarchie del Golfo, saranno progressivamente prosciugati. Ciò dovrebbe portare al prevalere in Libia delle componenti più filo-occidentali (come le milizie del generale Khalifa Haftar) senza escludere un nuovo intervento diretto delle potenze occidentali, come successo al tempo della caduta di Gheddafi, stavolta per combattere il terrorismo islamico. Stesso scenario per l'Iraq, dove il Califfato verrà ridimensionato e forse sconfitto da un rinnovato impegno congiunto tra forze occidentali e irachene. Più complicata la risoluzione della crisi siriana in cui Assad, sostenuto da Russia e Iran, ha resistito magnificamente ai colpi jihadisti e dove non si scorge al momento una componente sul terreno su cui l'Occidente possa fare leva. Ritengo dunque probabile una sorta di congelamento sul campo ricostituendo ex novo una forza di intervento che possa agire sotto ordine diretto e non più per procura.
2. Si potrà assistere all'inaugurazione di un processo di democratizzazione dell'Arabia Saudita, magari solo di facciata ma sufficiente per scongiurare l'imbarazzo dell'alleanza ingombrante con il wahabismo islamico più retrogrado. Il dito sarà puntato verso la Turchia, la cui dirigenza dovrà moderare il suo profilo musulmano e l'appoggio ad alcune componenti radicali.
3. A rischiare di saltare sul crollo del prezzo del petrolio sarà prima il Venezuela bolivariano che il settore shale americano.
Infine non si può evitare di spendere alcune parole sulla straordinaria operazione di psicologia di massa successiva agli attacchi parigini. Si poteva pensare ad un assist clamoroso alle politiche antieuropee ed anti-immigrazione di una Marine Le Pen già in ascesa, invece tale eventualità è stata sventata dalla mobilitazione per l'unità nazionale repubblicana che si è fatta interprete ed ha cavalcato tanto le paure quanto l'orgoglio nazionale, mettendo proprio la Le Pen in un angolo. […] E di certo non sarà sprecata la cascata di isteria islamofoba, che è andata a conficcarsi nelle coscienze di milioni di persone, anche quando il Califfato dovesse essere sconfitto. Ci sarà pur sempre un altro nemico da sventolare per risvegliarla. Se non sarà più in scena lo jihadismo, sarà fabbricato lo spauracchio fraudolento delle orde sciite fanatiche, armate di bomba atomica, pronte a distruggere il mondo".



Dall'articolo “Trump è la fine del '900 non dell'Impero americano” (novembre 2016):


"Le élite americane hanno scelto di porre Donald Trump alla guida pro-tempore dell'Impero non perché il sistema sia impazzito, ma perché è sembrato essere il candidato più adatto per questo tempo. Come lo sono stati Reagan, Clinton o lo stesso Obama. Tutti presidenti formidabili per il loro tempo, dal punto di vista dell'Impero.
A Trump, o meglio alla sua Amministrazione, saranno affidati questi compiti.
Ripristinare e proteggere l'economia interna ricostruendo le sue basi fondamentali. Stati Uniti di nuovo come motore produttivo, manifatturiero, con piena occupazione. Fine delle delocalizzazioni selvagge.
Distensione con la Russia ma senza cedere nulla di quanto conquistato finora. Congelamento dello status quo, fine delle aggressioni, reciproco rispetto formale e collaborazione laddove gli interessi fossero convergenti.
Massima competizione commerciale ed economica con la Cina ma senza spingere al momento sull'acceleratore del confronto militare. Massimo sostegno alla cintura di contenimento anti-cinese sul Pacifico, dalla Corea del Sud al Giappone, dalle Filippine al Vietnam, dalla Thailandia al Myanmar. La Cina, per ora, non va affrontata ma accerchiata e colpita ai fianchi. Sul medio periodo si dovrà alzare sempre più l'asticella della competizione globale e porre Pechino davanti ad una scelta strategica: accettare la supremazia americana in cambio di una parziale condivisione dei dividendi dell'Impero oppure il confronto militare, sempre più aggressivo.
Concentrarsi nell'immediato sullo scacchiere mediorientale, lo scenario più urgente. Fine della sponsorizzazione del jihadismo sunnita, che ha esaurito in quell'area la sua funzione, e spinta verso la democratizzazione delle petromonarchie del Golfo, a partire dall'Arabia Saudita. Il nemico principale, tuttavia, torna ad essere lo sciismo politico e i suoi alleati, il cosiddetto asse della resistenza, e il suo centro nevralgico, l'Iran.
Sostanziale freddezza per tutto l'apparato delle organizzazioni e dei trattati sovranazionali. Si favorirà il ritorno agli stati nazionali a sovranità controllata. Organizzazioni come l'Unione europea hanno fatto il loro tempo. Non saranno difese ad oltranza se lo spirito del tempo spingerà verso la loro dissoluzione".

Per chi volesse leggere integralmente gli articoli, soprattutto per la loro parte di impostazione analitica:
Destabilizzare per stabilizzare. Vale anche per gli attacchi di Parigi?

Trump è la fine del '900, non dell'Impero americano

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