Destano scandalo, in certi ambienti che
hanno qualche rappresentanza sui social, molto meno nella società, le
posizioni politiche che sta assumendo Luigi Di Maio. La cosiddetta
“apertura” al Pd per la formazione di un nuovo governo e l’aver
ribadito, nel messaggio all'uscita dalle consultazioni con il presidente
Mattarella, la volontà di rimanere nell'alleanza occidentale, nel Patto
atlantico, nella Ue e nell'euro, sono state salutate come un
tradimento, l'ennesima giravolta, un esempio di magnifica incoerenza.
In realtà, niente di nuovo sotto il sole.
Durante la campagna elettorale Di Maio
ha ripetuto, come un mantra, che in caso di mancata maggioranza avrebbe
rivolto un appello a tutte le forze politiche (a tutti i gruppi
parlamentari) per formare un governo a guida 5 stelle partendo dal suo
programma ma raccordandolo con le altrui priorità. Dunque, Di Maio sta
perfettamente rispettando il mandato elettorale nel momento in cui si
rivolge alla Lega ed al Pd per instaurare un confronto da cui possa
scaturire un accordo di governo sulla base di un contratto programmatico
“alla tedesca”.
Nemmeno le pretese novità sulla linea
politica (Nato, Ue, euro) sono nuove, anzi, erano state anche queste
chiaramente espresse durante la campagna elettorale.
In più di una occasione Di Maio aveva
ribadito di volere mantenere l'Italia all'interno delle alleanze
politico-militari occidentali. Non per questo, in linea con quanto
espresso nel programma elettorale, si dismette la volontà di aprirsi al
multilateralismo, di cessare la russofobia imperante revocando le
sanzioni a Mosca e ritirando l'Italia dalle esercitazioni militari in
Europa orientale (e da altre missioni di guerra come in Afghanistan).
Nella visione complessiva del MoVimento, l'Italia dovrebbe riconquistarsi nel contesto internazionale il primato di grande mediatore diplomatico e di pace,
ruolo che aveva già svolto, durante la guerra fredda, verso l'Urss o
nel Mediterraneo. Un ruolo che si erano faticosamente ritagliati
statisti come Andreotti, Moro, Craxi, che erano tuttavia legati a doppio
filo con l'Occidente. Ruolo che lo stesso Berlusconi ha cercato di
giocare, più recentemente, salvo poi tradire in maniera clamorosa gli
interessi nazionali (si veda il caso Libia). Certamente non la stessa
statura di un Aldo Moro che ha invece pagato con la vita quella sua
visione da statista.
Circa le relazioni europee, il MoVimento
non ha mai espresso la volontà di uscire dalla Ue (e nessun partito con
un seguito di massa, nemmeno la Lega, ha mai sostenuto questa
posizione), quanto semmai di voler ridiscutere profondamente le
politiche europee, soprattutto quelle relative all'austerità, e laddove
tali politiche fossero diretta conseguenza di norme dei Trattati,
ridiscutere i Trattati. Solo in seguito al fallimento di tale confronto
si potrà rivalutare la strategia. Si può ritenere questa linea politica
velleitaria ma non si può tacciarla di incoerenza o gridare al
tradimento. Essa è sempre stata delineata in maniera chiara.
Qualcosa di simile vale per l'euro. La
posizione dei 5 stelle è sempre stata di considerare la moneta europea
come tecnicamente sbagliata e di non essere stata adottata, previo ampio
dibattito pubblico, col consenso formale degli italiani. Per questo si
era evocata la possibilità di un referendum consultivo e si era
proceduto con una raccolta firme per rafforzare la proposta e far
diventare prioritario nell'opinione pubblica il dibattito sull'euro. Da
lì, la linea politica si è evoluta, non è cambiata nei suoi
fondamentali.
Di nuovo, nemmeno i responsabili
economici della Lega, che è il partito di massa più euroscettico,
sostiene che si debba (che si possa) uscire dall'euro domattina. Anzi, a
meno di voler innescare una catastrofe, si prospettano una serie di
passaggi preparatori necessari, ognuno dei quali positivo in sé per il
sistema paese (come una forte banca pubblica, la creazione di monete
alternative, ecc.), che all'esito definitivo potrebbero anche non
portare all'uscita unilaterale dalla moneta unica. Tutto dipende dalle
condizioni e dall'evolversi delle condizioni.
La linea del M5S, abbracciando
totalmente un approccio di Realpolitik, è proprio quella di verificare e
interagire con tali condizioni che dipendono da innumerevoli fattori
economici, sociali, politici e soprattutto dai rapporti di forza
internazionali. Solo un paio di anni fa le condizioni politiche erano
diverse dalle attuali e vediamo sotto i nostri occhi quanto si
modifichino in fretta. Approcciare tali questioni in senso dogmatico non
condurrebbe ad alcun esito favorevole. Sarà una sfida e un confronto
che richiederà enorme capacità politica. Si può pensare che la dirigenza
pentastellata sia del tutto inadeguata per tale scopo, ma questo
processo è stato ben spiegato in campagna elettorale e gli elettori in
buona parte hanno dato loro fiducia. Dunque non è in corso alcun
tradimento.
Il MoVimento Cinque Stelle è una forza
politica post-ideologica. Una forza populista, nel senso alto del
termine. Essa si muove costantemente nel perimetro politico del
possibile. Non è una forza avventurista, né estremista, né antisistema. È
una forza di cambiamento, anche radicale, ma non rivoluzionaria in
senso classico. Siamo appena all'inizio di un percorso che si
preannuncia lungo ed incerto. Tatticismi e strategie si alterneranno
prima che questa fase si esaurisca e si potranno cominciare a dare
alcuni giudizi perentori.
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